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Displaying items by tag: Celebrating At Home

Mercoledì, 10 Luglio 2024 08:30

Celebrando in Casa - XV Domenica del Tempo Ordinario

Sacramenti vivi dell'amore di Dio
(Marco 6:7-13)

La prima lettura di oggi ci racconta la storia di Amos, un uomo comune che è chiamato da Dio ad essere profeta. Prima di allora, Amos, se ne stava tranquillamente a pascere il suo gregge e a badare ai suoi sicomori Ora, però, viene mandato a predicare in mezzo a un popolo talmente corrotto dalle proprie ricchezze, risorse e pretese da non riuscire più a scorgere il volto di Dio nei poveri, nei deboli e nei malati, per i quali nutre solo disprezzo. Come Amos, i discepoli di cui leggiamo nel Vangelo sono persone ordinarie. Nessuno di loro, nemmeno lo stesso Gesù, è un rabbino istituzionalmente ordinato o investito, eppure, essi sono chiamati e incaricati di predicare e guarire.
Per il Vangelo di una proclamazione semplice e sincera, senza alcuna ricercatezza. Nel predicare, i discepoli devono farsi fratelli e sorelle di coloro a cui hanno il coraggio di portare l’annuncio. Potremmo quindi ravvisare un richiamo a non sentirci superiori rispetto a coloro che ascoltano il nostro annuncio.
Le troppe ricchezze, i beni in eccesso, così come una certa altezzosità boriosa possono facilmente intralciare la proclamazione del Vangelo. Papa Francesco mette spesso in guardia i sacerdoti e i seminaristi contro il clericalismo (con quel senso di superiorità verso tutti) e il carrierismo (l’intento, cioè, di farsi strada nel mondo ecclesiale piuttosto che pensare alla propria missione).
Non tutti riusciranno a comprendere e ad accogliere il messaggio dei discepoli, proprio come la gente di Nazareth non riuscì a cogliere la presenza di Dio nella persona di Gesù. Ma non c’è alcuna punizione eclatante, non scende giù il fuoco dal cielo. Sebbene addolorato, meravigliato ed esterrefatto, Gesù non risponde con violenza. Piuttosto, intensifica e dilata la sua missione inviando i discepoli in altri luoghi.
Laddove c’era solo Gesù, ora ci sono altri Dodici che diffondono la Buona Novella e la sua forza risanante.
I discepoli sono chiamati a proclamare l’amore di Dio e non l’ira di Dio.
Coloro che sono chiamati a scorgere il volto di Dio in se stessi, negli altri e nel mondo circostante sono persone ordinarie, come te e me, e non solo quanti ricevono un incarico formale dalla Chiesa. Cerchiamo di non smarrirci dietro la ricchezza e il potere, in quell’alterigia che così facilmente ci rende ciechi alla presenza di Dio. Cerchiamo di essere persone che diventano sacramenti della presenza di Dio l’uno per l’altro, persone che permettono a Dio di consacrare il suo popolo con atti di amore, compassione, speranza e guarigione.

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La vera fede - scorgere ovunque il segno del sacro
(Marco 6:1-6)

Tradizionalmente, i profeti biblici non hanno vita facile.
Molti hanno sperimentato il rifiuto, la persecuzione e persino la morte. Nella prima lettura leggiamo alcuni passi della vocazione profetica di Ezechiele. I profeti sono accumunati dalla convinzione che la Parola del Signore debba essere rivolta al popolo che “ascoltino o non ascoltino” – il profeta deve restare fedele alla sua vocazione a costo della vita.
Nei Vangeli Gesù è presentato come il profeta per eccellenza . Nel Vangelo di questa domenica lo troviamo ad insegnare nella sinagoga della sua città, Nazareth, fedele alla propria missione di proclamare la Buona Notizia. Come per molti altri profeti, questo annuncio alla fine gli costerà la vita. Anche Gesù, come già gli altri profeti, sperimenta l’essere rifiutato.
Dapprima la gente si stupisce del suo insegnamento e dei miracoli da lui compiuti altrove, ma ben presto si convincono che è soltanto un carpentiere (artigiano), di cui conoscono la famiglia. Niente di speciale quindi, sembrano concludere. Quando si finisce di non aver più rispetto di ciò che ci è fin troppo familiare si crea una dinamica simile a quella che definisce il loro atteggiamento nei confronti di Gesù, soprattutto quando fanno riferimento a sua madre.
Ordinariamente, infatti, i Giudei sono identificati per il nome del padre, anche se questi fosse ormai morto.
Gesù si meraviglia per la loro mancanza di fede.
In tale contesto, la fede implica un’apertura alla presenza e all’azione di Dio (il Regno). È evidente che la gente non percepisce l’azione di Dio in Gesù, nonostante l’autorevolezza delle sue parole e i miracoli compiuti. Forse le condizioni della famiglia di Gesù erano troppo ordinarie per loro? Non riuscivano a vedere oltre ciò che era loro familiare per poter scorgere Dio operante in Gesù. Senza questa apertura interiore, Gesù non può compiere alcun miracolo importante fra loro, anche se risana qualche malato.
La fede è questione di relazione, di essere in rapporto con Gesù (e quindi con Dio). Le relazioni crescono man mano che le persone si conoscono e si capiscono reciprocamente. In un rapporto di fede, quando cominciamo a conoscere Gesù, si opera in noi un cambiamento e cominciamo a vedere con i suoi occhi, a sentire con il suo cuore e ad agire con la sua stessa intenzione. Solo allora riusciremo a percepire la presenza, altrimenti nascosta, di Gesù negli uomini e negli avvenimenti. Cominciamo a vedere i segni del sacro “nascosti” nella serialità e nell’ordinarietà del mondo.
Solo con la fede possiamo vedere l’opera di Dio riposta nel consueto e nel familiare, la presenza del divino nell’umano, lo spirituale nel temporale. Per noi, quindi, la distinzione tra sacro e profano si fa quasi evanescente e quasi tutto appare “sacro” e non più “semplicemente” umano o terreno.

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Essere gli uni per gli altri vita e guarigione
(Marco 5:21-24, 35-43)

Nella versione più lunga del Vangelo di questa domenica (Mc 5, 21-43) Marco narra due storie di guarigione e risurrezione da parte di Gesù per due donne. Una è una donna adulta che da molti anni soffre per una emorragia, l’altra è una ragazzina appena morta.

Da alcune domeniche Marco ci sta mostrando il regno della grazia di Dio (il Regno di Dio) operante nella persona di Gesù. Nell’episodio in cui la tempesta è sedata e torna la bonaccia già si afferma chiaramente che è necessario aver fede in Gesù per entrare nel Regno.

Aver fede significa entrare in relazione con Gesù. Non è un esercizio mentale, ma un movimento del cuore.

Con quella sincerità propria di chi è disperato, Giairo e la donna cercano Gesù e cominciano ad entrare in relazione con lui. Gesù risponde ad entrambi e fra loro si avvia un dialogo. Nemmeno la morte è un ostacolo alla tenerezza di Gesù. Gesù, infatti, è “guarigione di Dio” (la Via della vita eterna) perfino davanti alla morte.

In questo brano Marco intende suggerire che per trovare guarigione e pienezza di vita dobbiamo entrare in sincera relazione con Gesù. In tale rapporto (come in ogni altra relazione preziosa) la conversazione non è unilaterale, quanto piuttosto un intimo dialogo fra due cuori.

La fede in Gesù – in stretto rapporto con lui – suscita in noi, figli e figlie amati da Dio, guarigione e rigenerazione interiore. Veniamo così ristabiliti nel regno come il benevolo disegno di Dio ci vuole. Due donne, considerate impure per morte e sanguinamento, sono ora ricostituite in dignità e restituite alle loro famiglie, comunità e pratiche religiose. 

Un altro motivo per cui Marco narra questo episodio è da ricercarsi nella situazione esistente tra i Giudei e coloro che, nella sua comunità, si erano convertiti dal paganesimo. Vi erano dei giudeo-cristiani che ancora tenevano alle norme giudaiche secondo le quali una persona era pura o impura agli occhi di Dio; per essi era difficile accettare il fatto che insieme con loro vi fossero anche dei pagani, considerati impuri, a rendere culto. L’episodio vuole far loro comprendere che Gesù non era assolutamente interessato all’impurità rituale delle due donne e che la bontà di Dio è per tutti.

Grazie alla vita e alla guarigione che riceviamo attraverso il nostro rapporto con Gesù, anche noi possiamo divenire canale di vita e guarigione per quanti ci circondano.  

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Vivere nel Regno di Dio
(Marco 4,35-41)

Nel Vangelo di Marco il Regno non è qualcosa prossima a venire, bensì una realtà già presente. È la presenza e l’opera (il regno) di Dio in mezzo al suo popolo. Ciò può non apparire sempre chiaro, eppure è realmente presente.

Domenica scorsa Marco ha riportato due parabole per illustrare la realtà del Regno. Nelle prossime domeniche ci parlerà del mistero del Regno presente in Gesù e di ciò che il Regno stesso richiede a chi lo accoglie. Non troviamo, in Marco, eclatanti manifestazioni di potenza. Piuttosto, l’evangelista mostra che a Gesù interessa salvare gli uomini, guarirli, e rassicurare il loro cuore sballottato dalle tempeste della vita. La forza di Gesù sta nel dare vita e liberazione.

Sono ben note le bufere improvvise sul lago di Galilea, si verificano ancora oggi.

Con l’improvviso insorgere del Coronavirus, e con tutto ciò che ne è conseguito, molte “barche”, nostre e dei nostri cari, si sono ritrovate in acque turbolente. Tanti di noi conoscono molto bene il tipo di paura e di incertezza sperimentato dai discepoli la notte di quell’indomita tempesta narrata nel Vangelo di oggi. Forse alcuni sentono anche che Gesù è altrove, addormentato.

Eppure, siamo circondati da tanti segni della presenza di Gesù: in coloro che si impegnano nella cura degli altri offrendo vitto e riparo, in chi cerca di tutelare se stessi, i propri cari e i più deboli, in chi lavora per la pace in mezzo dei conflitti, in chi porta consolazione e innalza preghiere.

Sentirsi vulnerabili è un’esperienza scomoda. Marco ci aiuta a comprendere che la vita di chi accoglie il Regno comincia con la fede e la fiducia in Dio soprattutto nel mezzo di terribili lotte che minacciano di schiacciarci. 

La domanda posta dai discepoli è anche la nostra. Chi è Gesù per noi? Un mago, un operatore di miracoli o una persona che è riuscita a lasciar fluire dal suo cuore la grazia del regno di Dio per riversarla nella vita di chi gli è vicino?

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A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio?
(Mc 4:26-34)

Le parabole hanno lo scopo di suscitare in coloro che ascoltano degli interrogativi. Non rispondono in modo diretto a una domanda, quanto piuttosto interpellano l'intelligenza lasciandola pensosa.

Raramente Gesù nei Vangeli si interessa di dati o cifre, tempi o scadenze. Ricorrendo alle parabole, egli cerca di raggiungere i suoi ascoltatori a un livello più profondo.

Desidera che il suo insegnamento avvinca i loro cuori. È proprio del processo di conversione cominciare a vedere le cose con occhi diversi.

È bellissimo vedere Gesù continuamente attento alla vita, a quanto accade intorno a lui, per servirsi di particolari e immagini che possano aiutare gli altri a cogliere e sperimentare la presenza del regno.

Nel vangelo di Marco il regno non è qualcosa prossima a venire, bensì realtà già presente. È la presenza e l'opera (il regno) di Dio in mezzo al suo popolo. Ciò può non essere subito chiaro, eppure è reale.

Può apparire un inizio alquanto modesto (come il granello della seconda parabola), ma l'esperienza che suscita si dilata in qualcosa di totalizzante.

La storia del seme che cresce spontaneamente

L'agricoltore che pianta il seme conosce il processo: prima il seme, poi il germoglio verde, le foglie, la spiga e il grano. Egli sa aspettare e non taglia il gambo prima del tempo, ma non sa da dove venga la forza perché, attraverso il terreno, la pioggia, il sole e lo stesso seme il chicco diventi un frutto. Ecco com’è il regno di Dio. È un processo, con varie fasi di crescita. Richiede tempo e avviene per tempo. Il frutto giunge al tempo giusto ma nessuno può spiegarne la forza misteriosa.

La storia del granello di senape che cresce in grandi dimensioni

Il granello di senape è piccolo, ma cresce, e a tal punto che gli uccelli possono fare il nido tra i suoi rami. Ecco com’è il regno di Dio. Comincia come qualcosa di molto piccolo, poi cresce e stende i suoi rami che offrono ombra e riparo favorendo la nascita di nuova
vita. (dalla Lectio Divina di giugno 2021 – www.ocarm.org)

Riflettere oggi sul regno di Dio pone un contesto alla lettura continua del vangelo di Marco che stiamo ascoltando e ci ricorda che Dio sta portando avanti la sua opera nel mondo.

L’annuncio con cui Gesù proclama il regno è centrale e di fondamentale importanza – è lo svelamento del regno di Dio così spesso nascosto e l’appello perché l’umanità si volga a quel piano che fin dall’inizio Dio ha desiderato per i suoi figli.

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Mercoledì, 05 Giugno 2024 09:20

Celebrando in Casa - X Domenica del Tempo Ordinario

La nuova famiglia di Gesù
Mc 3:20-35

Il Vangelo di oggi si apre con la scena caotica di un'enorme folla riunita intorno alla casa in cui si trova Gesù. È una scena talmente affollata che Gesù e i discepoli non hanno nemmeno il tempo di mangiare.
Questo spettacolo provoca l'intervento dei parenti di Gesù e di alcuni scribi di Gerusalemme. I parenti pensano che Gesù sia pazzo; gli scribi pensano che sia posseduto.
Intenzionalmente o meno, sia i parenti che gli scribi sembrano intenzionati a chiudere la missione di Gesù.
I parenti, convinti che Gesù sia fuori di testa e forse imbarazzati per lo spettacolo che sta dando di sé, si mettono in testa di occuparsi di lui (di catturarlo), probabilmente con l'intenzione di riportarlo a Nazareth e sistemarlo. Gli scribi di Gerusalemme cercano di chiudere la missione di Gesù accusandolo di essere in combutta con il diavolo e di usare il potere di Satana nei suoi miracoli di guarigione. Gesù sottolinea l'assurdità di questa affermazione, poiché i miracoli che egli compie con la forza dello Spirito Santo portano guarigione, libertà e liberazione, non una più profonda schiavitù al potere del male. Una casa divisa contro se stessa, dice, non può stare in piedi.
Gesù racconta anche una parabola su un uomo forte e un ladro. La maggior parte delle persone penserebbe che l'uomo forte è Gesù e il ladro è Satana. In realtà, è il contrario! Usando la potenza di Dio, è Gesù che ha legato Satana e irrompe nella sua casa per liberare coloro che sono imprigionati dal male.
Gesù avverte della gravità dell'accusa di essere un agente di Satana - identificando lo Spirito Santo di Dio con gli spiriti immondi del mondo demoniaco. Appare ora la famiglia di Gesù, fuori dalla casa. Non potendo raggiungerlo a causa della folla, gli inviano un messaggio, chiedendo di vederlo. Gesù non risponde direttamente alla richiesta, ma pone e risponde alla domanda: ‘Chi sono mia madre e i miei fratelli?’. Indicando le persone riunite intorno a lui all'interno della casa, Gesù dice: ‘Ecco mia madre e i miei fratelli. Chiunque faccia la volontà di Dio, costui è mio fratello, mia sorella e mia madre’. La vecchia famiglia è rimasta fuori e la nuova famiglia di Gesù è riunita con lui all'interno.
L'appartenenza alla famiglia di Gesù non dipende da un rapporto di sangue con lui, ma dal riconoscere che egli viene da Dio e che fa la volontà di Dio.
Appartenere alla nuova famiglia di Gesù significa unirsi a lui nell'impresa di incarnare, rendere reale in carne e ossa, il profondo amore e la misericordia di Dio per tutto il suo popolo.

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La presenza reale di Gesù in noi
(Marco 14, 12-16. 22-26)

Siamo molto abituati a parlare della presenza reale di Gesù nel Santissimo Sacramento. Ma la vera presenza di Cristo si trova anche nella comunità quando si riunisce nel suo nome al banchetto della Parola, per ricordare ciò che Gesù ha detto e fatto durante l'Ultima Cena (non solo le parole sul pane e sul vino, ma anche la lavanda dei piedi), quando condivide il cibo dell'Eucaristia, quando esce e continua a spezzare e riversare quel cibo in atti di bontà e d’amore, in parole lenitive e nutrienti che danno vita agli altri.
L'Eucaristia non è solo un oggetto da guardare, ma una azione da fare affinché la presenza viva di Gesù continui a toccare e guarire.
Forse dobbiamo pensare più profondamente alla presenza reale di Gesù negli esseri umani reali e viventi.
Il pane e il vino non hanno occhi per guardare con amore, né un volto con cui sorridere, né una bocca per pronunciare parole confortanti, né le braccia per sostenere un lutto o un malato, né per dare una mano, né orecchie per sentire il dolore. Ma siamo noi che lo facciamo.
Quindi siamo chiamati a diventare l'Eucaristia che sostiene coloro che ci circondano con il nutrimento dell’apertura del cuore e della vista, del rispetto, dell’amore, della compassione, della speranza e del perdono.
La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende a nient'altro che a diventare ciò che riceviamo. (St Augustine)

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Mercoledì, 22 Maggio 2024 14:01

Celebrando in Casa - Santissima Trinità

Dio si è incarnato in noi
(Mt 28:16-20)

Un'analisi veloce delle letture di oggi ci mostra come la Festa della Santissitma Trinità è più un'occasione per riflettere su chi è Dio, e non per cercare di capire come possono esistere tre persone in un unico Dio. 

L’attenzione d ella Chiesa oggi è sull'esperienza, non sulla teologia In termini intellettuali, Dio rimane un mistero. Per le persone di fede, Dio non è conosciuto tramite la mente, ma con il cuore. Questo è ciò di cui ci parlano la spiritualità e la mistica: esplorare la nostra esperienza di Dio.

Nella prima lettura Dio viene proclamato come un Dio di tenerezza e compassione, lento all'ira e ricco di misericordia; un Dio che cammina con il suo popolo.

Le parole di Paolo nella seconda lettura nascono dalla sua convinzione che, essendo stati fatti a immagine e somiglianza di Dio, i cristiani devono sempre agire proprio a immagine e somiglianza di Dio.

Attraverso la nostra liturgia pubblica, la preghiera privata e la contemplazione arriviamo a sperimentare -per "conoscere" e sentire nei nostri cuori - che Dio ci ama, ci accetta, ci perdona e ci invita costantemente ad entrare in un'esperienza sempre più profonda dell'amore.

Quando permettiamo al cuore di Dio di parlare al nostro con amore, iniziamo ad assorbire sempre più la vita di Dio nella nostra. Cominciamo a trasformarci. I nostri valori e i nostri atteggiamenti, i nostri modi di guardare il mondo e di essere nel mondo iniziano a cambiare. Iniziamo a vedere con gli occhi di Dio e sentiamo con il cuore di Dio.

Ci appassioniamo delle cose di cui Dio è appassionato: parlare in modo veritiero, agire con giustizia e integrità, andare verso gli altri e soprattutto verso i vulnerabili, promuovere la pace e la comprensione, porre fine alla competizione e alla discriminazione, rispettare la vita.

Questo ci rende delle persone migliori e le nostre vite diventano una benedizione per l'altro e per il mondo.

Questo è ciò che significa vivere del grande dono di Dio per noi, lo Spirito di Gesù Cristo che Dio ha messo nei nostri cuori. Dio si incarna in noi e noi diventiamo amministratori della grazia e della vita di Dio.

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Martedì, 14 Maggio 2024 06:41

Celebrando in Casa -  Pentecoste

Inviati per essere l'amore di Dio nel mondo
(Gv 15:26-27, 16:12-15)

Il giorno di Pentecoste celebriamo il dono dello Spirito santo ai primi fedeli cristiani: i discepoli. Questo dono dello Spirito santo è il culmine della vita, morte e risurrezione di Gesù.
Sarebbe uno sbaglio pensare che questo regalo fu dato solo una volta, in un momento della storia. In realtà il regalare dello Spirito santo è un avvenimento continuo nella vita di ogni credente, e allora in ogni epoca della storia umana. Lo Spirito Santo è la presenza di Dio con noi – il modo duraturo come Gesù rimanga presente nella Chiesa e nella vita di ogni persona.
Oggi noi non preghiamo di ricevere lo Spirito santo. La presenza dello Spirito santo dentro di noi è stata affermata e proclamata nei sacramenti del battesimo e della cresima. Invece preghiamo di diventare sempre più consapevoli della presenza dello Spirito nella nostra vita, e di permettere che lo Spirito cresca sempre di più dentro di noi, riplasmando gradualmente le nostre menti e i nostri cuori nell’immagine di Gesù.
La domenica di Pentecoste chiude i cinquanta giorni delle celebrazioni pasquali della Chiesa. Fra poco cominceremo di nuovo il Tempo Ordinario. La nostra festa di oggi, perciò, ci aiuta a capire che portiamo lo Spirito santo con noi negli avvenimenti e compiti di ogni giorno. E’ così che permettiamo il sacro a toccarci, a guarirci e a trasformarci e il mondo intorno a noi.
La ricerca spirituale è del cuore di Dio dentro il nostro cuore. Quando entriamo in rapporto con Cristo attraverso lo Spirito, i doni cominciano ad arrivare più abbondantemente. Lo Spirito è la fonte di riconciliazione con noi stessi e con gli altri. La riconciliazione è essenziale se andiamo a ‘tenerci e curarci’ gli uni gli altri in mezzo a tutto ciò che ci offre la vita, specialmente in questo momento particolare.
Lo Spirito ci porta i doni della sapienza, del coraggio, della comprensione, del giusto giudizio, di conoscenza, di reverenza, di meraviglia e di soggezione nella presenza di Dio. Che siamo riempiti da tutti questi doni mentre discerniamo e decidiamo come possiamo meglio costruirci gli uni gli altri in tal modo che l’amore di Dio sia visibilmente operante in ognuno di noi.

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Martedì, 07 Maggio 2024 07:09

Celebrando in Casa -  Ascensione del Signore

Chiamati, scelti, inviati
come il cuore di Dio nel mondo (Marco 16:15-20)

La festa dell'Ascensione commemora il ritorno di Gesù al Padre. Gesù ci lascia visivamente ma rimane con noi attraverso il dono dello Spirito. Celebreremo il dono e la presenza dello Spirito Santo domenica prossima, nella solennità di Pentecoste.
Il vero significato dell’odierna solennità non si trova nella partenza di Gesù, ma nel modo in cui chiama i suoi discepoli per riformarli come una nuova comunità a cui viene affidata la diffusione del Vangelo. Gesù invia i discepoli ad ammaestrare tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e per insegnare loro la sua via. Ma i discepoli, nell’esercizio di tale missione, non vengono lasciati soli. Gesù promette di essere sempre con loro.
Gesù ha richiamato il gruppo dei discepoli – che dopo la crocifissione si era come sfilacciato, sparpagliato – per formarli, fragili e dubbiosi come sono, come una comunità inviata in missione nel nome di Dio. È confortante vedere come Gesù non insista sulla perfezione prima di chiamarci e di affidarci la sua missione.
Questa missione è autorizzata da Dio e ci viene trasmessa attraverso Gesù. Non si tratta di esercitare un’autorità sugli altri, ma di una chiamata ad agire come Dio avrebbe agito, fedeli al cuore di Dio come Gesù ci ha insegnato.
Sin dalla Pasqua abbiamo proclamato che Gesù è vivo. Le solennità dell'Ascensione e della Pentecoste ci aiutano a renderci conto che facciamo parte di una lunga tradizione di discepoli fedeli. Abbiamo i nostri difetti e sperimentiamo i nostri fallimenti, ma la nostra chiamata è di testimoniare ed insegnare la via di Gesù così come siamo, con i valori e le attitudini che possediamo a livello di pensiero, parola e azione, con la finalità di essere la presenza vivente di Dio nel mondo odierno.

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