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Displaying items by tag: Celebrating At Home

Venerdì, 04 Agosto 2023 13:58

Celebrando in Casa - Trasfigurazione del Signore

Trasfigurati in Cristo
(Matteo 17:1-9)

Nella tradizione ebraica, le alte montagne erano considerate luoghi sacri in cui incontrare Dio. Fu sulla cima del monte Sinai che Mosè ricevette la Legge da Dio (Es 19) e fu sul monte Oreb che Elia incontrò Dio nella brezza leggera (1Re 19,9ss). Non deve quindi sorprendere che sia proprio su un monte che i discepoli incontrano la divinità glorificata di Cristo.

Gesù trasfigurato si mostra ai discepoli insieme a Mosè ed Elia che, nella tradizione ebraica, rappresentano la Legge e i Profeti. In Gesù, queste due grandi tradizioni raggiungono il loro vero compimento. Mosè ed Elia sono anche le due figure che nelle Scritture ebraiche hanno un incontro diretto e personale con Dio.

Ciò conferma che i discepoli incontrano Dio in e attraverso l'incontro con Cristo.

Pietro è entusiasta di questo scorcio di Cristo glorificato e vuole commemorare l'esperienza costruendo tre tende. Ma la voce di Dio interrompe la richiesta di Pietro. Dio sembra dire: "Lascia perdere la questione delle tende, Pietro, l'importante è ascoltare il mio Figlio amato".

Grazie alla nostra profonda esperienza di ascolto della parola di Dio pronunciata in Gesù, rimaniamo in contatto con il cuore di Dio, permettendo all'amore di Dio di trasformarci e trasfigurarci e di "esplodere" di bontà.

Essere trasfigurati è una rivoluzione della mente e del cuore guidata dallo Spirito di Dio e resa possibile dall'apertura del cuore alla Parola di Dio. Quando siamo "attraversati" dalla presenza di Dio, Dio può essere visto e sperimentato attraverso di noi.

Ci vuole fede e perseveranza per osare lasciarsi temprare dalla passione, dalla speranza e dalla visione di Dio piuttosto che dai nostri desideri e dalle nostre voglie. Ci vuole una grande fede per fidarsi della parola che Dio ci rivolge. Ma se lo facciamo, la parola viva del Prediletto plasma in noi il cuore di Dio.

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Incontri ravvicinati con il Regno di Dio
(Mt 13:44-52)

Nel Vangelo, Gesù paragona il Regno ad un tesoro nascosto in un campo, a un commerciante alla ricerca di perle preziose e alla rete di un pescatore che raccoglie ogni genere di pesci.

Il punto fondamentale delle parabole si rivela nel come i personaggi agiscono in esse.

Nella prima parabola una persona si imbatte per caso nel tesoro. A volte può succedere anche a noi.

Viviamo felici le nostre vite quando, per caso, succede qualcosa o incontriamo qualcuno e le nostre vite cambiano per sempre. Se andiamo in profondità, possiamo discernere la presenza di Dio in quell'incontro.

Nella seconda parabola il Regno viene trovato dopo una lunga ricerca. Ciò ci rassicura che chi cerca trova sempre, e a quelli che bussano alla porta verrà sempre aperto.

La terza parabola introduce una nota di realtà: il Regno è un misto di ogni genere di cose ed è necessario fare un po’ di ordine.

Nelle prime due parabole è evidente la gioia di coloro che trovano il Regno (ovvero che fanno esperienza del Regno). È una gioia, un’esperienza così forte che per possedere quel Regno nulla viene risparmiato.

Lo scopo delle parabole non è di fornire delle risposte a dalle domande ma è quello di farci riflettere.

Come sappiamo, il Regno di Dio non è una ‘cosa’ o un ‘luogo’. È un'esperienza o un incontro con la vita di Dio.

Nella vita e nel ministero di Gesù molte persone hanno sperimentato il Regno attraverso l'incontro con lui che ha portato loro dignità, amore, perdono, liberazione dalla malattia, dalla disabilità, dalla colpa, dalla vergogna e persino dalla morte. Gesù ha reso presente il regno della grazia di Dio alle persone in ogni tipo di bisogno.

Mentre a volte veniamo sopraffatti dall'esperienza della presenza di Dio nei nostri cuori, più spesso sperimentiamo il regno della grazia di Dio attraverso gli altri. Queste persone, come Gesù, in qualche modo si presentano, rendono reale la presenza e l'azione di Dio specialmente (ma non solo) nei nostri momenti di bisogno.

Avendo provato questo, anche noi vogliamo possedere, trovare e trattenere la Fonte che ci ha toccato così profondamente e che ci ha portato speranza, conforto e libertà.

Il Regno, come ci viene ricordato nella terza parabola, è un miscuglio di pesci buoni e di pesci marci, santi e peccatori. Non è compito dei membri del Regno giudicare; il giudizio finale appartiene solo a Dio. Nel frattempo, la pazienza e la tolleranza devono guidare la pratica di tutti coloro che vivono il Regno.

Essi cercano le cose che nella vita hanno un reale valore. Sono pronti a fare grandi sacrifici per farli propri. Vivono la vita con virtù e saggezza e le loro vite sono una benedizione per gli altri nel momento in cui attingono dalla loro ricca riserva di valori e di virtù, di saggezza e di grazia. Non smettono mai di cercare ciò che ha valore, le ricchezze del regno, e non smettono mai di rendere Dio presente a coloro che li circondano.

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Il seminatore paziente
(Mt 13:24-30)

La sezione del Vangelo di Matteo che stiamo leggendo tratta del Regno di Dio. Gesù usa spesso questa espressione durante i suoi insegnamenti. Il Regno non è il paradiso, è la vita e il cuore di Dio.

Viviamo nel Regno quando viviamo secondo la mente e il cuore di Dio. Il Regno, o Regno di Dio, irrompe nella realtà umana quando gli esseri umani vivono, respirano e agiscono a partire dalla vita di Dio; quando il cuore di Dio diventa il nostro; quando permettiamo a Dio di parlare e agire in e attraverso di noi.

Gesù, per insegnare, usa spesso delle parabole: storie tratte dalla vita reale, pensate per indurre i suoi ascoltatori a riflettere, a porsi delle domande e a prendere decisioni.

La parabola di oggi è una storia che parla di grano e di zizzania che crescono insieme in un campo.

Apparentemente la zizzania, un'erbaccia, è così simile al grano che è quasi impossibile distinguerli fino a quando le spighe compaiono al momento del raccolto. Solo allora si può realmente percepire la differenza tra le due piante. Prima, potrebbero notarsi solo alcuni segni rispetto alla direzione in cui crescono le spighette. Forse è ciò che vedono i servi e che riferiscono al padrone.

Gli chiedono se vuole rimuovere la zizzania. Il padrone dice di lasciare che entrambe le piante crescano insieme fino al raccolto, quando la differenza tra le piante sarà evidente. Quello sarà il momento per estirparla.

Dunque, cosa significa tutto questo?

Senza dubbio, c’erano delle persone nella comunità di Matteo che pensavano che il Regno di Dio sarebbe arrivato rapidamente e con veemenza e avrebbe immediatamente schiacciato ciò che gli era contrario.

Altri erano diventati ansiosi per il fatto che l’arrivo del Regno sembrava ritardare molto e volevano continuare a ‘estirpare i malvagi’ secondo il loro giudizio.

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Diventando terreno fertile
(Mt 13:1-9)

La sezione del Vangelo di San Matteo da cui ora stiamo leggendo riguarda il Regno di Dio. Gesù usa spesso questa espressione nel suo insegnamento. Il regno non è il paradiso, ma piuttosto è la vita e il cuore di Dio. 

Viviamo nel Regno quando viviamo secondo la mente e il cuore di Dio. Il Regno di Dio, irrompe nella realtà umana quando gli esseri umani vivono, respirano e agiscono dalla vita di Dio; quando il cuore di Dio diventa nostro cuore; quando permettiamo a Dio di parlare e agire in e attraverso di noi.

Questa sezione sul Regno di Dio è il fulcro del Vangelo di San Matteo. Matteo usa sette parabole e spiegazioni per dimostrare l'insegnamento di Gesù sul Regno.

Il Vangelo della scorsa settimana ha offerto rassicurazione a coloro che erano sovraccarichi dalla legge religiosa che spesso erano incapaci di adempiere e che non erano stati abbandonati da Dio.

Gesù dice di essere colui che rivelerà ciò che Dio è veramente, attraverso la gentilezza e l’umiltà, e fornendo riposo (non più fardelli) per le loro anime.

Questa settimana iniziamo la serie di parabole sul Regno con la parabola del Seminatore. Il seminatore semina, il seme cade, a volte il lavoro del seminatore ha successo, a volte no. I diversi suoli rappresentano diverse risposte umane all'ascolto della parola di Dio.

Non tutti ricevono il messaggio o rispondono bene all'invito.

La parabola ci insegna che Dio proverà qualsiasi cosa per ottenere un raccolto. Il segno del successo è il frutto dei destinatari.

Questo è quando la parola di Dio seminata nei nostri cuori diventa anche la nostra parola.

Coloro che rispondono all'invito alla vita nel Regno producono il raccolto della bontà e della pietà.

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Sollevare il peso, alleggerire il carico
(Mt 11:25-30)

Il Vangelo di oggi è un’esplosione gioiosa ed entusiasta dei sentimenti di Gesù.

La comunità di Matteo deve essere stata profondamente turbata dal fatto che i capi religiosi ‘sapienti e dotti’ loro contemporanei non avevano accettato il messaggio di Gesù. Sicuramente loro, fra tutti, avrebbero dovuto essere in grado di riconoscere la verità. Ma in questo passaggio, Matteo spiega che non è tramite la conoscenza o il potere che si riconosce chi è Gesù. Piuttosto, il riconoscerlo proviene da un atteggiamento di apertura e di semplicità, come quello che troviamo spesso nei bambini.

Inoltre, Matteo sottolinea che Gesù non si avvicina a noi come un guerriero, minacciandoci di punirci, ma si avvicina con umiltà e dolcezza.

Il tono della lettura è contrassegnato dal modo affettuoso ed intimo con cui Gesù si rivolge a Dio chiamandolo "Abba" (Padre), e lo fa per ben 5 volte in questo breve brano. Questa relazione così intima è caratterizzata dal fatto che Dio affida tutte le cose al Figlio e il Figlio, a sua volta, le rivela a coloro che hanno fede. Questi, a loro volta, vengono attratti da una relazione intima con Dio.

Le regole e le leggi dei capi religiosi ai tempi di Gesù spesso costituivano un carico sempre più pesante per coloro che venivano considerati semplici e peccatori.

Mentre Gesù ha sempre cercato di sollevare i pesi della gente.

L'invito di Gesù nel Vangelo di oggi è rivolto a tutti.

Potrebbe essere un invito per noi a guardare le nostre vite e chiederci quali sono i pesi che carichiamo sugli altri. Le nostre preoccupazioni, le nostre ansie, il nostro bisogno di potere, la nostra ricchezza e il nostro status, esigono un prezzo elevato dagli altri e da noi stessi?
Siamo un peso o una benedizione l'uno per l'altro?

Cosa possiamo fare per semplificarci la vita, per sollevare i pesi degli e condividerne il carico?

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Il vero discepolato
(Mt 10:37-42)

Il Vangelo di oggi corrisponde alla parte finale di questa sezione del Vangelo di Matteo sulla propagazione del Regno e sul ruolo dei discepoli.

Matteo usa spesso gli eventi come punto di partenza per i discorsi di Gesù. La sezione che abbiamo ascoltato è iniziata con la chiamata di Matteo e a seguire abbiamo ascoltato le istruzioni impartite ai discepoli prima di iniziare la loro missione. Ne abbiamo sentito parte domenica scorsa.

Finora in questo discorso abbiamo sentito Gesù insegnare che i veri virtuosi sono coloro che esercitano misericordia; i discepoli devono proclamare il Regno di Dio con opere di compassione e di misericordia; non devono lasciare che la paura comprometta il loro messaggio, ma devono fidarsi sempre di Dio.

Il brano evangelico di oggi evidenzia sia i costi che i benefici del vero discepolato. La relazione dei discepoli con Gesù deve essere il centro della loro vita e il contesto di tutte le altre relazioni.

Ospitalità e accoglienza sono espressioni concrete del discepolato poiché il discepolo è colui che testimonia la compassione e la misericordia di Dio con un cuore aperto e nella concretezza delle sue azioni.

Anche se il primo paragrafo del Vangelo di oggi sembra proporre Gesù come scelta esclusiva rispetto alla famiglia, l'idea alla base del testo è più di questo: è a partire dalla nostra relazione con Gesù che tutte le altre relazioni acquisiscono il giusto senso.

Se non viviamo una giusta relazione con Gesù non possiamo capire come vivere una giusta relazione con gli altri. È la nostra relazione con Gesù che conferisce profondità e ricchezza a tutte le altre nostre relazioni. Pertanto, per esempio, le nostre relazioni familiari diventano più che semplice adempimento di usanze sociali; ma divengono vere relazioni piene di amore, misericordia, perdono e rispetto.

Raramente gli scribi e i farisei erano considerati buoni discepoli poiché pensavano che la religione riguardasse il fare cose religiose. Andavano in sinagoga, osservavano la Legge, digiunavano e così via, ma la loro osservanza religiosa non riuscì mai a cambiare i loro cuori. Erano giusti, disprezzavano i poveri e i ‘peccatori’ e agivano senza giustizia o misericordia.

La verità sulla nostra conversione a Gesù (il nostro divenire Gesù) non si vede tanto dalle cose ‘religiose’ che facilmente si possono identificare, ma dalle buone azioni concrete e dalle giuste relazioni.

La nostra osservanza religiosa ha lo scopo di sostenere e nutrire la nostra relazione con Gesù, e non la sostituisce. Quella relazione ha il potere di cambiarci e trasformarci in modo tale da poter testimoniare Cristo attraverso una vita fatta di misericordia, compassione, giustizia e integrità.

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Essere Vangelo vivente
(Mt 10:26-33)

Il Vangelo di oggi è la seconda parte dell'istruzione di Gesù ai discepoli mentre si mettono in cammino per compiere la loro missione.
La frase di apertura dà il tono alla missione dei discepoli: ‘non abbiate paura’, una frase che si ripeterà poi altre due volte in questo brano del Vangelo.
La prima lettura dell’Antico Testamento dal libro del profeta Geremia riflette l'esperienza di rifiuto che Geremia vive: nessuno vuole sentire il messaggio che ha ricevuto da Dio e che ha il compito di dare.
Anzi, vogliono ucciderlo. Geremia sembra disperato e impaurito. Ma poi la lettura si trasforma in una preghiera di fiducia piena nella presenza e compagnia di Dio e nella sua protezione spirituale: Dio e Geremia vinceranno.
Predicare nel nome di Dio è rischioso e spaventoso, e lo sa anche Gesù. Perciò esorta i discepoli a non aver paura dei timidi esordi, di coloro che possono uccidere solo il corpo o non aver paura dell’abbandono di Dio. Ricorda loro che Dio è sempre attento e li accompagna nella loro missione. Li esorta a essere coraggiosi e audaci nel proclamare la verità di Dio e nel confessare la loro fede in Gesù davanti agli altri.
Gli uditori di Matteo, come Gesù, Geremia e i discepoli, conoscevano la persecuzione e il rifiuto.
La loro domanda, allora, è anche la nostra: se permettiamo alla paura di zittirci, il mondo come potrà ascoltare la Buona Novella di Gesù Cristo?
Se non parliamo noi, chi lo farà? Se non agiamo, chi lo farà?
In realtà non si tratta di fare lunghi discorsi alle persone o di citare continuamente la Bibbia. Ma, come diceva San Francesco d'Assisi: ‘Predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole’.
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Crescere come discepoli
(Matteo 9:36-10:8)

Il Vangelo di questa settimana contiene la prima parte delle istruzioni di Gesù ai discepoli che si apprestano a partire per la loro missione.
All'inizio della lettura sentiamo che Gesù è mosso da compassione per le folle. Le ama, si preoccupa per loro e risponde alle loro necessità, poiché ‘erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore’. È la compassione di Gesù per la gente che lo spinge ad agire.
Poi esorta l'intero gruppo di discepoli a pregare ‘il Signore della messe’ per accrescere il numero degli operai. Poi, dal gruppo più ampio di discepoli, Gesù ne sceglie dodici che Matteo chiama ‘apostoli’.
A questi dodici Gesù affida la missione di annunciare che il regno di Dio è vicino. Non si tratta di una predizione della ‘fine del mondo’. Potremmo meglio tradurla come: il regno di Dio è molto vicino a voi. Per un popolo a cui era stato costantemente detto che Dio li disdegnava, che erano peccatori e molto lontani dal regno di Dio, questa risultava essere davvero una buona notizia.
Gesù dà ai discepoli l'autorità di accompagnare l'annuncio della Buona Notizia con la guarigione di ‘ogni malattia e ogni infermità’, per abbattere l'idea che la malattia (in qualsiasi sua forma) fosse una maledizione inviata da Dio o una punizione per il proprio peccato. Invece, i discepoli sono chiamati ad essere un segno della bontà di Dio che porta salute e pienezza. L'annuncio della Buona Notizia va sempre fatto con generosità e senza badare a spese.
Attraverso le parole del Vangelo possiamo risentire la nostra chiamata a essere ambasciatori dell'amore di Dio e portatori della Buona Notizia. Permettiamo alla bontà e alla compassione di Dio di toccarci attraverso il nostro sostenerci mutuamente.
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La presenza reale di Gesù in noi
(Gv 6:51-58)

Siamo molto abituati a parlare della presenza reale di Gesù nel Santissimo Sacramento. Ma la vera presenza di Cristo si trova anche nella comunità quando si riunisce nel suo nome al banchetto della Parola, per ricordare ciò che Gesù ha detto e fatto durante l'Ultima Cena (non solo le parole sul pane e sul vino, ma anche la lavanda dei piedi), quando condivide il cibo dell'Eucaristia, quando esce e continua a spezzare e riversare quel cibo in atti di bontà e d’amore, in parole lenitive e nutrienti che danno vita agli altri.

L'Eucaristia non è solo un oggetto da guardare, ma una azione da fare affinché la presenza viva di Gesù continui a toccare e guarire.

Forse dobbiamo pensare più profondamente alla presenza reale di Gesù negli esseri umani reali e viventi.

Il pane e il vino non hanno occhi per guardare con amore, né un volto con cui sorridere, né una bocca per pronunciare parole confortanti, né le braccia per sostenere un lutto o un malato, né per dare una mano, né orecchie per sentire il dolore. Ma siamo noi che lo facciamo.

Quindi siamo chiamati a diventare l'Eucaristia che sostiene coloro che ci circondano con il nutrimento dell’apertura del cuore e della vista, del rispetto, dell’amore, della compassione, della speranza e del perdono.

La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende a nient'altro che a diventare ciò che riceviamo. (St Augustine)

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Giovedì, 01 Giugno 2023 14:09

Celebrando in Casa - Santissima Trinità

Dio si è incarnato in noi
(Gv 3:16-18)

Se diamo un rapido sguardo alle letture di oggi, vediamo chiaramente che la Festa della Trinità è una celebrazione dell'amore di Dio per l'umanità.

È un giorno in cui possiamo riflettere su chi è Dio, non in cui cercare di capire come possono esserci tre persone in un unico Dio.

L’attenzione della Chiesa oggi è sull'esperienza, non sulla teologia.

In termini intellettuali, Dio rimane un mistero. Per le persone di fede, Dio non è conosciuto tramite la mente, ma con il cuore. Questo è ciò di cui ci parlano la spiritualità e la mistica: esplorare la nostra esperienza di Dio.

Nella prima lettura Dio viene proclamato come un Dio di tenerezza e compassione, lento all'ira e ricco di misericordia; un Dio che cammina con il suo popolo.

Le parole di Paolo nella seconda lettura nascono dalla sua convinzione che, essendo stati fatti a immagine e somiglianza di Dio, i cristiani devono sempre agire proprio a immagine e somiglianza di Dio.

Attraverso la nostra liturgia pubblica, la preghiera privata e la contemplazione arriviamo a sperimentare - per ‘conoscere’ e sentire nei nostri cuori - che Dio ci ama, ci accetta, ci perdona e ci invita costantemente ad entrare in un'esperienza sempre più profonda dell'amore.

Quando permettiamo al cuore di Dio di parlare al nostro con amore, iniziamo ad assorbire sempre più la vita di Dio nella nostra. Cominciamo a trasformarci.

I nostri valori e i nostri atteggiamenti, i nostri modi di guardare il mondo e di essere nel mondo iniziano a cambiare. Iniziamo a vedere con gli occhi di Dio e sentiamo con il cuore di Dio.

Ci appassioniamo delle cose di cui Dio è appassionato: parlare in modo veritiero, agire con giustizia e integrità, andare verso gli altri e soprattutto verso i vulnerabili, promuovere la pace e la comprensione, porre fine alla competizione e alla discriminazione, rispettare la vita.

Questo ci rende delle persone migliori e le nostre vite diventano una benedizione per l'altro e per il mondo.

Questo è ciò che significa vivere del grande dono di Dio per noi, lo Spirito di Gesù Cristo che Dio ha messo nei nostri cuori. Dio si incarna in noi e noi diventiamo amministratori della grazia e della vita di Dio.

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